Gender gap nel mondo scientifico: cosa pensano gli italiani?

Quali sono le percezioni degli italiani sulla presenza femminile nelle discipline scientifiche? E quali le possibili soluzioni per eliminare la disuguaglianza di genere ‘nella scienza’?
Risponde un’indagine condotta dal team di Ipsos Public Affairs e presentata in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza, che si celebra ogni anno l’11 febbraio per sottolineare l’importanza cruciale del ruolo delle donne nel mondo scientifico.  

Si tratta di un evento promosso dall’ONU con l’obiettivo di riconoscere e promuovere la partecipazione femminile nelle comunità scientifiche e tecnologiche sfidando gli stereotipi di genere.
Nonostante i significativi progressi degli ultimi anni, le donne infatti sono ancora sottorappresentate in molte discipline scientifiche, in particolare nel settore STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica).

Non esistono differenze in termini di predisposizione, ma…

L’opinione pubblica sostiene ampiamente che non esistono differenze in termini di predisposizione e attitudine tra ragazzi e ragazze. Più di due italiani su tre non credono che i ragazzi siano più adatti alle discipline scientifiche, e viceversa, che le ragazze siano più predisposte per le discipline umanistiche, formative o relative alla cura. 

Nonostante ciò, una ‘divisione delle competenze e capacità’ persiste in una minoranza ristretta, circa il 16%. Un antico stereotipo che tende a prevalere non tanto tra gli uomini (20% contro il 13% delle donne), ma sorprendentemente tra i più giovani: il 25% dei Millennials e addirittura il 29% degli Zoomers considerano valida questa distinzione.

Il divario esiste, la colpa è degli stereotipi 

Esiste effettivamente un divario: secondo i dati Istat del 2022, più di un uomo laureato su tre ha scelto il campo STEM, mentre solo una donna laureata su sei ha fatto la stessa scelta. Questa è una differenza significativa, che viene ignorata o riconosciuta, ma sottostimata da una parte considerevole della popolazione.

La tendenza è più evidente tra gli uomini e i giovani rispetto alle donne e alle persone di età più avanzata. 
Nonostante il fenomeno possa essere in parte sottostimato, le sue cause sono chiare. Tre italiani su cinque ritengono che siano gli stereotipi di genere a scoraggiare le donne dal perseguire una carriera nel campo scientifico. Una visione particolarmente diffusa tra le donne (due su tre) e i Boomers (72%).

Le quote rosa sono una soluzione?

Le cosiddette ‘quote rosa’, ovvero riservare una certa percentuale di posti alle donne nelle istituzioni scientifiche e di ricerca, sono una soluzione molto sostenuta dal 70% degli intervistati. Tuttavia, il supporto diminuisce tra i laureati, gli studenti e il ‘ceto dirigente’, dove meno di un terzo è d’accordo con questa misura. 

Molte altre proposte sembrano essere più apprezzate, come il miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e lavoro, l’investimento in educazione di base attraverso programmi scolastici e campagne educative sui media tradizionali e social. E l’aumento della visibilità delle donne già presenti in posizioni di leadership nella comunità scientifica.

L’IA in Italia: qual è l’impatto socio-economico?

Il 2023 è stato sicuramente segnato dal boom dell’Intelligenza Artificiale. Questa tecnologia ha visto nei mesi passati una crescita travolgente, addirittura del 52%, tanto da raggiungere un valore di 760 milioni di euro. Tale incremento evidenzia un ulteriore accelerazione rispetto al +32% registrato nel 2022. La maggior parte degli investimenti è orientata verso soluzioni di analisi e interpretazione di testi per ricerca semantica, classificazione, sintesi e spiegazione di documenti, mentre i progetti di Generative AI rappresentano solo il 5%.

La consapevolezza degli italiani 

Nel 2023, ben il 98% degli italiani ha sentito parlare di Intelligenza Artificiale; di questi, il 29% possiede una conoscenza medio-alta sul tema. Nonostante l’interesse, permane però una certa confusione, evidenziata dal fatto che solo il 57% conosce il termine “Intelligenza Artificiale Generativa”. Circa il 77% degli italiani mostra preoccupazione riguardo all’IA, soprattutto per gli impatti potenziali sul lavoro. Tuttavia, solo il 17% è fermamente contrario all’integrazione dell’IA nelle attività professionali.

Il possibile impatto sull’occupazione e sull’automazione

Attualmente, l’IA in Italia ha il potenziale di automatizzare il 50% dei “posti di lavoro equivalenti”, rappresentando solo una minima parte di quanto possibile. Tuttavia, entro 10 anni, le nuove capacità delle macchine potrebbero sostituire il lavoro di 3,8 milioni di persone. Il dato sottolinea la necessità di un approccio bilanciato a questo strumento, considerando anche le previsioni demografiche. Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano.

L’adozione dell’IA nelle aziende italiane

Il 90% del mercato dell’IA in Italia è dominato dalle grandi imprese, mentre il restante 10% è equamente distribuito tra PMI e Pubblica Amministrazione. La quota di mercato predominante (29%) è rappresentata da soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati.

Il 61% delle grandi imprese ha almeno un progetto di IA, quota che scende a 18% per le PMI. In particolare, pigiano sull’acceleratore le aziende che avevano già in avviato progetti in questo senso. La Generative AI sembra non influenzare significativamente il divario di adozione tra le organizzazioni.

Imprese, identificati 5 profili

L’analisi della maturità delle aziende rivela cinque profili distinti, con l’11% delle aziende classificate come “avanguardiste” che hanno raggiunto la piena maturità tecnologica, organizzativa e gestionale nell’adozione dell’IA. Il 23% è classificato come “apprendista”, mentre il restante 66% presenta situazioni eterogenee, da organizzazioni “in cammino” a aziende che non considerano ancora rilevante il tema dell’IA.

Lavoro: come iniziare il 2024 con il piede giusto, e senza malessere da ripresa

Finite le festività di Natale e Capodanno dopo un periodo più o meno lungo di pausa si torna al lavoro. Ma soprattutto all’inizio di un nuovo anno ripartire con il piede giusto è importante per non rendere troppo traumatico il rientro in ufficio e la ripresa della routine quotidiana. Per lavoratori e aziende il mese di gennaio è il momento della ripresa delle attività, ma talvolta la ripartenza può essere davvero difficile.

“Gestire l’ansia e lo stress che molto spesso caratterizzano questi momenti diventa fondamentale per non avere conseguenze importanti sul proprio benessere”, spiega Massimo Mariani di Ab Lavoro, società di ricerca e selezione di personale qualificato.

La salute dei dipendenti è una strategia di talent attraction vincente 

Molto spesso accade purtroppo che il ritorno al lavoro sia accompagnato da una situazione di disagio, se non addirittura un vero e proprio malessere da rientro. Per fortuna, un occhio di riguardo alla salute fisica e mentale delle persone costituisce un elemento sempre più vincente nelle strategie di talent attraction delle aziende.

“L’attenzione al proprio benessere è ormai fondamentale per tutti i lavoratori, che da qualche tempo non sono più disposti a scendere a compromessi – aggiunge Giacomo Grilli, di Ab lavoro -. Le aziende, se non vogliono perdere le risorse migliori, dovranno necessariamente iniziare a tenere in grande considerazione queste nuove necessità e cercare, per quanto possibile, di curare il benessere dei propri dipendenti”.

I consigli per combattere lo stress da rientro

Ecco allora qualche consiglio per combattere lo stress da rientro. Anzitutto, se possibile, cercare di non rientrare il lunedì, ma i giorni successivi. In questo modo, la settimana si accorcia e si ha la sensazione di avere più tempo a disposizione e riprendere le attività con gradualità.
Prima di staccare preparare una lista delle attività in ordine di priorità da svolgere una volta rientrati. Un quadro preciso di ciò che ci aspetta sarà utilissimo per evitare ansie e stress inutili.

Inoltre, evitare di fissare appuntamenti importanti durante i primi giorni di lavoro, e se per molti gennaio è un ottimo momento per riflettere sulla propria carriera, rivedere il cv, aggiornare il proprio profilo Linkedin o valutare altre opportunità lavorative.

Ogni giorno dovrebbe contenere una piccola vacanza

Al rientro, è fondamentale continuare a curare la propria presenza online e allargare il proprio network, riporta Adnkronos, così da aumentare le opportunità di sviluppo di carriera.
Coltivare buone relazioni con i colleghi, anche fuori dall’ufficio: cercare occasioni di incontro informali o di svago può aiutare a ridurre lo stress da rientro.

Durante le ferie regalarsi del tempo per attività che la routine quotidiana impedisce di fare ricarica poi le energie. Spostare la mente, anche solo temporaneamente, dagli impegni lavorativi, consente di tornare con maggiore carica e lucidità.
Ultimo consiglio: fare in modo che ogni giorno contenga una piccola vacanza (anche metaforica). Una piccola occasione di relax quotidiana contribuisce infatti a rendere il ritorno alla routine meno stressante.

Comunicazione: un settore che vive di relazioni, ma è ancora poco rappresentato

Per oltre l’80% dei professionisti impegnati nel mondo della comunicazione l’elemento indispensabile per sviluppare nuove opportunità di business e di crescita è la costruzione di un solido e diffuso network di relazioni. Per la medesima percentuale, pari a 4 professionisti su 5, è inoltre imprescindibile un riconoscimento lavorativo e sociale delle proprie competenze e del proprio ruolo di ‘esperti della comunicazione’. Ma il 73% lamenta l’assoluta mancanza di rappresentanza presso i decisori pubblici, le istituzioni e le business community. Sono alcuni dati relativi all’indagine condotta dall’area comunicatori di Manageritalia executive professional, e realizzata in collaborazione con Astraricerche, Com&tec e tekon Europe su oltre 30 mila professionisti attivi nelle pubbliche relazioni, organizzazione eventi, new media, advocacy, comunicazione corporate, e social media.

Sì a formazione, ma è necessario certificare le competenze

Per 4 intervistati su 5, l’85%, nei prossimi 3-5 anni le proprie competenze professionali dovranno crescere per porsi in sintonia con evoluzioni tecnologiche come l’Intelligenza artificiale e i social media. Competenze che per il 63% del campione dovranno essere sempre più certificate, mentre per il 66% è opportuno che esista un percorso di formazione specifico che porti alla loro certificazione, a garanzia delle proprie credenziali e di quelle del cliente. Infatti, per l’84% del campione i committenti non sono sempre in grado di valutare correttamente la vera qualità della comunicazione e dei comunicatori. 

Qual è la differenza tra comunicazione e informazione?

Per l’81% degli intervistati però è ‘saltata’ la differenza tra comunicazione e informazione, i cui confini sono spesso labili se non addirittura superati. Una mancanza che dovrebbe essere colmata con una corretta formazione deontologica, soprattutto verso giovani comunicatori. Per il 73% del campione è poi necessario disporre di un soggetto, un’associazione o realtà, capace di rappresentare le istanze della categoria. Infatti solo il 32% risulta iscritto a una associazione professionale. Forte anche per il 68% dei comunicatori la richiesta di un sistema assicurativo capace di tutelare gli operatori dagli eventuali rischi professionali, ed è immancabile per il 69% degli intervistati un sistema di welfare integrativo, che affianchi quello pubblico per una migliore cura della salute del comunicatore e dei suoi familiari.

“Il settore della Comunicazione professionale esiste, produce valore ed è in continua crescita”

“I risultati dell’indagine sono molto significativi – commenta Rita Palumbo, coordinatrice nazionale area comunicatori di Manageritalia executive professional – così come lo è il numero di coloro che spontaneamente hanno partecipato alla survey. Il settore della Comunicazione professionale esiste, produce valore ed è in continua crescita. Chiede di essere rappresentato, tutelato, valorizzato. È un obiettivo dell’area comunicatori rispondere ai bisogni di chi svolge questa professione, ed è un dovere quello di offrire opportunità di lavoro di valore alle migliaia di giovani che si laureano in Scienze della Comunicazione, e che in ambiti professionali adeguati, molto potranno dare all’evoluzione dell’intero settore”.

L’AI ridisegna il mercato del lavoro tra paure e tecno-entusiasmo 

Secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum nel 2027 la diffusione dei sistemi di Intelligenza artificiale permetterà la creazione di 69 milioni di nuovi posti di lavoro. Di contro, 83 milioni saranno eliminati, con macchine e robot umanoidi che arriveranno a svolgere il 43% delle mansioni rispetto al 34% delle attuali.  Ma tra ‘apocalittici e integrati’ i lavoratori si dividono sull’innovazione e l’introduzione nel mondo delle aziende dell’AI. Emerge da Stranger Skills, la ricerca realizzata da PHD Italia, l’agenzia media, comunicazione e marketing di Omnicom Media Group, che evidenzia proprio come per il 30% degli intervistati l’AI rappresenti la principale tecnologia che verrà implementata all’interno delle imprese.

La formazione combatte l’ansia tecnologica

“Il tecno entusiasmo – afferma Lorenzo Moltrasio, Managing Director PHD Italia – va di pari passo con l’ombra lunga di un’ansia diffusa per la paura di essere tagliati fuori dalla prossima grande rivoluzione tecnologica. In questo l’azienda ha un ruolo sempre più strategico, abbracciando l’esigenza della formazione continua per sfidare il presente e costruire il futuro”.
Lo studio evidenzia come il 72% dei lavoratori ritiene che sia proprio l’azienda a dover prevedere l’aggiornamento professionale. L’Intelligenza artificiale, infatti, se da un lato comporterà la scomparsa di alcuni posti di lavoro, dall’altro favorirà la nascita di nuove professionalità. Come ad esempio nel marketing, dove molte aziende stanno cercando esperti che possano utilizzare l’AI per migliorare le strategie pubblicitarie.

Conversational AI Developer e Decision Science

Quello dell’AI è un mercato ‘caldo’, che vedrà la nascita di inedite figure professionali, come i Conversational AI Developer, che utilizzano la tecnologia per creare annunci pubblicitari interattivi, dove gli utenti possono interrompere il flusso dell’annuncio e parlare direttamente con i personaggi dello spot.
Una nuova modalità di advertising, che punta ad aumentare l’interesse degli utenti e migliorare la probabilità di acquisto del prodotto o servizio pubblicizzato.
Altra figura professionale inedita sarà il Decision Science. Si tratta di scienziati dei dati che addestrano algoritmi di apprendimento automatico per prendere decisioni di marketing. Algoritmi che vengono addestrati per prendere 50.000 decisioni di offerta al secondo, per scegliere l’asset pubblicitario perfetto da mostrare.

La skill del futuro è la creatività

Ma quali saranno le skill più richieste in un mercato che vedrà la progressiva automazione di buona parte delle mansioni? La ricerca conferma il ruolo fondamentale dell’aspetto umano: in particolare, la creatività, che rappresenterà un’esigenza fondamentale per una persona su tre. 
“La forte domanda di creatività potrebbe trovare proprio risposta nell’adozione dell’AI, permettendo una crescita delle opportunità di sganciarsi dall’operatività per dedicarsi ad attività di pensiero”, aggiunge Moltrasio.
Il mondo del lavoro richiede con sempre maggiore frequenza capacità di pensare in maniera analitica e creativa, curiosità, apprendimento costante, empatia, ascolto attivo, capacità di leadership e di influenza a livello sociale. Un insieme di elementi che concorrono a indicare quali saranno le nuove geografie del lavoro e della società nell’era dell’AI.

Decreto Lavoro e nuove misure: le opinioni degli italiani

Il Governo ha varato il Decreto Lavoro proprio in occasione della Festa del Lavoro del Primo Maggio. E dall’ultimo sondaggio Ipsos, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera, da parte del 46% dei nostri connazionali emerge un complessivo giudizio positivo. Ma se un 14% è più convinto, per un ulteriore 32% tale direzione dovrà essere confermata anche in futuro con il prosieguo della riduzione del cuneo fiscale, il cui termine è stabilito per la fine del 2023.
I contrari (28%) sono invece del parere che i sostegni sociali siano troppo ridotti rispetto ai bisogni reali, e tale misura aumenti la precarietà del lavoro.

La scelta di varare il Decreto il Primo Maggio

Per il 33% la scelta di varare il decreto proprio in occasione del Primo Maggio denota un chiaro intendimento da parte del Governo di volere, in qualche misura, ridimensionare l’iconografia complessiva della Festa del Lavoro, sfidando i sindacati. Il 31% dichiara che la concomitanza fra il varo del decreto e il Primo Maggio sia stata quanto mai opportuna per dare ulteriore importanza alla celebrazione del lavoro, con gli elettori FDI al 58%, gli elettori Lega-FI-Noi moderati al 64%, mentre è di questo parere solamente il 13% dei dem e il 21% dei pentastellati. In merito ai singoli provvedimenti contenuti nel Decreto, la riduzione del cuneo fiscale convince il 48%, a fronte di un 18% che esprime un giudizio negativo, e di un 34% che non si esprime.

I singoli provvedimenti

Per quanto concerne la nuova disciplina del contratto di lavoro a termine, con l’allungamento della durata oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24 mesi, la contrapposizione tra favorevoli e contrari si posiziona in entrambi i casi al 32%, con un 36% di coloro che non si esprimono o non sono a conoscenza di questa modifica. L’estensione della soglia di utilizzo dei voucher per prestazioni occasionali in alcuni settori incontra il favore del 34% e la contrarietà del 31%, mentre il 36% non si esprime. L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro dei cosiddetti occupabili sono accolti con favore dal 39%. In particolare, il 19% è convinto che tali provvedimenti riducano i rischi di abusi e frodi.

Disoccupati e occasionali non si esprimono

Al contrario il 29% si esprime negativamente (67% elettori del Pd e 65% tra quelli del M5S) perché è del parere che tale cambiamento riduca gli importi erogati (13%) o la platea degli aventi diritto (16%), acuendo i problemi sociali. Anche in questo caso, è elevata (32%) la quota di coloro che non si esprimono sull’introduzione delle nuove norme al posto di quelle previste dal Reddito di Cittadinanza.
Nel complesso si registra un atteggiamento di maggiore favore per le misure contenute nel Decreto Lavoro da parte dei ceti produttivi e dei dipendenti del settore privato, mentre tra disoccupati e dipendenti occasionali, o con contratto a termine, prevale nettamente la quota di coloro che non si esprimono.

Donne e lavoro: prevale l’ottimismo, ma pesano scarsa flessibilità e pay gap

Quali sono le prospettive del lavoro femminile? Cosa pensano le donne del lavoro? Risponde The Adecco Group Italia attraverso il sondaggio dal titolo Donne & Lavoro – Il lato positivo. La ricerca, basata su un ampio campione composto da aziende e da lavoratori prende in considerazione unicamente le risposte femminili. E ciò che emerge dall’indagine, da parte delle donne, è il prevalere di un senso di ottimismo per la riduzione del gender gap nel prossimo futuro. Secondo l’87% delle intervistate, infatti, la situazione migliorerà nel prossimo futuro. In particolar modo, secondo il 20%, in futuro aumenterà la presenza femminile nei ruoli manageriali, come CEO, Country Manager, o Amministratore Delegato.

Quali ostacoli incontrano le donne nel loro percorso professionale?

Rimangono comunque sfide strutturali per il sistema Paese. La ricerca evidenzia infatti anche i principali ostacoli che le donne incontrano nel loro percorso professionale. In particolare, per il 30% delle intervistate tali ostacoli consistono in una scarsa flessibilità lavorativa, per il 29% si tratta del gap salariale e per il 17% la crescita professionale è troppo lenta. Inoltre, emerge da parte delle donne anche un’attenzione sempre maggiore verso la qualità della vita. Tanto che il 40% del campione considera il bilanciamento tra vita e lavoro un aspetto fondamentale, seguito, per il 25%, dallo stipendio e per il 22% dalla possibilità di crescita professionale.

La consapevolezza sulle possibilità di carriera inizia a scuola

Per migliorare la situazione, secondo le intervistate, le sfide principali che il Paese dovrà affrontare sono legate sia a una questione culturale sia ad azioni pratiche. L’aspetto culturale riguarda il fatto che in alcuni settori la presenza femminile è ancora troppo debole, a causa di fattori legati alla consuetudine a non ricoprire determinati ruoli o posizioni. Secondo circa il 65% delle intervistate è quindi importante aumentare la consapevolezza sulle possibilità di carriera già durante gli anni scolastici.

Quali azioni intraprendere per un cambiamento nel gender gap?

Per quanto riguarda le azioni pratiche da intraprendere per attuare un cambiamento, sono legate soprattutto a equità salariale (per il 33%), welfare e misure di sostegno alla famiglia (per il 28%), e incentivi all’imprenditorialità femminile (per l’11%). Solo il 2% delle intervistate mostra di credere all’utilità delle quote rosa come strumento di cambiamento. Di fatto, i principali motori di questo cambiamento secondo le intervistate dovranno essere lo Stato italiano (per il 35%), le aziende (per il 28%), e l’Unione Europea (per il 18%).

Come cambia la supply chain in tempi di stress? Si punta su automazione e IA

Intelligenza artificiale, automazione dei processi e attenzione a tutti gli aspetti della sostenibilità sono le chiavi di volta per sostenere le supply chain, ovvero le catene di approvvigionamento di imprese e organizzazioni. A mettere in luce questo nuovo percorso è il recente studio dell’IBM Institute for Business Value (IBV) denominato “Own Your Transformation”. La ricerca stata condotta su 1.500 Chief Supply Chain Officer (Caco), cioè i top manager che si occupano delle catene di approvvigionamento, e Chief Operating Officer (Coo) di realtà produttive di 24 settori industriali presenti in 35 Paesi. In particolare dall’analisi è emerso che queste figure manageriali hanno dichiarato di aver scelto l’automazione perché è un approccio che può aggiungere prevedibilità, flessibilità e intelligenza alle operazioni della supply chain, e di utilizzare l’Intelligenza Artificiale per monitorare e tracciare le prestazioni.  

La metà dei manager adotta nuove tecnologie di automazione

Poco meno della metà (47%) dei Chief Supply Chain Officer intervistati ha affermato di aver introdotto nuove tecnologie di automazione negli ultimi due anni, un approccio che può aggiungere prevedibilità, flessibilità e intelligenza alle fasi della catena di approvvigionamento e di utilizzare l’intelligenza artificiale per monitorare le prestazioni . Il report ha anche rilevato che la sostenibilità è sia una sfida sia una leva verso il cambiamento. L’urgenza è particolarmente sentita nei periodi di stress come quello che stiamo vivendo, con tutte le incertezze legate alla pandemia globale da Covid-19, all’inflazione, ai cambiamenti climatici e agli eventi geopolitici attuali.

“Per combattere efficacemente i fattori di stress delle catene di approvvigionamento, come l’inflazione, è imperativo che i Csco si concentrino sull’utilizzo di analisi, intelligenza artificiale e processi di automazione per costruire supply chain intelligenti, resilienti e sostenibili”, afferma Jonathan Wright, IBM Consulting Global Managing Partner, Sustainability Services and Global Business Transformation. “Automazione e l’intelligenza artificiale possono consentire ai Csco e alle loro imprese di raccogliere dati, identificare i rischi, convalidare la documentazione e fornire audit trail, anche in periodi di forte inflazione, gestendo al contempo anche il consumo di carbonio, energia e acqua”.

Dove si concentrano gli investimenti?

Il report evidenzia che 1 Csco su 2 (il 52%) pone la sostenibilità in cima alla lista delle priorità di cambiamento per le quali l’infrastruttura tecnologica può fornire una spinta concreta. Il 50% dichiara che i propri investimenti in sostenibilità accelereranno la crescita aziendale. Gli stessi manager affermano poi che le maggiori pressioni verso la trasparenza e la sostenibilità provengono da: investitori (56%), membri del consiglio di amministrazione (50%) e clienti (50%). 

Il mercato del lavoro post-Covid è “candidate driven”

Fino al 2020 il mercato del lavoro italiano era esplicitamente client driven: erano le aziende ad assumere il ruolo di potere quasi incontrastato nel processo di selezione del personale. Oggi, invece, ci si trova in un mercato diverso, più vicino all’essere candidate driven.  È questa, secondo Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, la principale differenza nel mondo della ricerca e della selezione del personale nel post Covid.
“Si potrebbe essere portati a pensare che il mercato del lavoro sia stato trasformato soprattutto dall’avvento su larga scala del lavoro agile, introdotto come sappiamo in forma emergenziale a partire dal marzo 2020 – spiega Adami-. In realtà, però, dal punto di vista dei recruiter e dei cacciatori di teste quello è solo uno dei fattori da prendere in considerazione”.

“Oggi i talenti possono contare su maggiori possibilità”

“Oggi la domanda di talenti sovrasta l’effettiva offerta in tanti settori differenti – prosegue Adami -. Se prima del Covid chi si occupava di head hunting sapeva molto bene quali erano i settori e i ruoli che si scontravano con un effettivo gap di competenze, oggi questo problema è molto diffuso, per motivi spesso diversi. Molto semplicemente – aggiunge l’head hunter – oggi i talenti possono contare su maggiori possibilità, su un ventaglio di offerte che fino al 2020 era appannaggio di pochissimi. Per un selezionatore oggigiorno non è affatto raro trovarsi a fare un colloquio di lavoro con persone che, nello stesso periodo, sono in corsa per un altro o per più ruoli in altre realtà”.

Da cosa è determinato questo cambio di paradigma?

“I fattori che hanno portato a questo nuovo e per tanti versi inedito scenario sono diversi – risponde l’head hunter -. Bisogna senz’altro tenere in considerazione la ripartenza dopo il Covid-19, e quindi la fisiologica crescita della domanda da parte di molte realtà. Un altro fattore da tenere in considerazione è poi quello delle cosiddette ‘Grandi dimissioni’, ovvero dell’aumento delle dimissioni volontarie che ha avuto luogo a partire dal 2021. Questo fenomeno si traduce infatti in un aumento della mobilità sul mercato del lavoro, con un incremento delle possibilità di carriera per i professionisti più audaci”.

È un buon momento per concentrarsi sullo sviluppo di carriera

“Indubbiamente – sottolinea Adami -, in questo frangente il mercato si presenta in modo favorevole a chi è alla ricerca di nuove sfide e di nuove possibilità: tutto sta, come ricordano sempre i nostri career coach, nello stabilire un piano abbastanza preciso di sviluppo professionale, in base alle proprie esigenze effettive e ai propri obiettivi, senza farsi trascinare dagli eventi. In questo momento storico il dipendente alla ricerca di nuove opportunità ha maggiore scelta, grazie alla mobilità del mercato nonché alla flessibilità maggiore concessa delle aziende: può essere quindi un ottimo periodo per prendere davvero in mano le redini della propria vita professionale”.

Le imprese lombarde tornano ai livelli pre-crisi

Alla fine del 2021 le imprese attive in Lombardia erano pari a 814.756, per una crescita su base annua del +0,5%. Una crescita che, secondo l’analisi sui dati delle anagrafi camerali di Unioncamere Lombardia, consente di recuperare i livelli precedenti la crisi generata dalla pandemia da Covid-19. Potrebbe trattarsi di un primo segnale d’inversione di tendenza, ma nel complesso il dato risulta ancora lontano dai livelli del 2019. Nell’analisi della nati-mortalità d’impresa si impone però una certa prudenza, poiché le cessazioni sono state frenate da sostegni istituzionali e moratorie volte a salvaguardare il tessuto imprenditoriale dagli effetti della crisi.

Il 2021 segna una ripresa delle iscrizioni

Di fatto, la dinamica recente è stata condizionata dalla crisi economica generata dalla pandemia. Dopo il sostanziale congelamento delle posizioni nel 2020, l’anno scorso ha visto una ripresa delle iscrizioni (57.177 movimenti, pari al +19% su base annua), che si sono quindi riportate su valori pre-crisi. Per le cessazioni invece il recupero è stato modesto (54.450 movimenti, pari al +1,4%) e solo negli ultimi mesi si è registrata un’accelerazione delle chiusure.
La crescita imprenditoriale registrata nel 2021 in Lombardia risulta esclusivamente frutto del maggior numero di società di capitali (+4,7% su base annua), con un incremento particolarmente rilevante per le società a responsabilità limitata semplificata (+13,6%) preferite sempre più spesso alle Srl a socio unico (-4,8%).
L’80% delle società di capitale rimane formato da Srl ‘tradizionali’, in crescita del +4,9%, mentre le società per azioni aumentano del +2,5%.

Più attività giovanili e femminili

I risultati del 2021 fanno emergere segnali interessanti anche in merito alle caratteristiche degli imprenditori. Il tasso di crescita per le imprese femminili è superiore alla media (+1,2%) così come per le imprese giovanili (+1,3%) dopo un lungo trend decrescente.
Questa vitalità dell’imprenditoria giovanile è probabilmente aiutata dal boom delle attività digitali e su web, che hanno fatto da volàno allo sviluppo dei servizi avanzati.
Rallenta invece, dopo gli incrementi significativi degli anni passati, l’aumento di imprese straniere (+0,2%), presumibilmente anche per le restrizioni che hanno ridotto la mobilità internazionale durante la pandemia.

Torna la voglia di fare impresa

“Nel 2021 è tornata la voglia di fare impresa: in Lombardia sono state avviate più di 57 mila nuove attività, riportandoci sui livelli del 2019 – ha dichiarato il Presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio -. Le imprese guidate da donne e giovani sono sempre più numerose, in particolare nelle aziende di servizi con elevato contenuto professionale, scientifico e tecnico e nei settori finanziario e assicurativo”.

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